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Il caso Raffaello, un giallo nel mondo dell'arte.

Il caso Raffaello è un libro di Pears Iain pubblicato da Longanesi.

Iain Pears ha raggiunto il successo internazionale con il romanzo La quarta verità, seguito dal Sogno di Scipione e dal Ritratto.

È inoltre autore della serie di romanzi polizieschi ambientati nel mondo dell’arte che hanno come protagonisti Taddeo Bottardi, Flavia Di Stefano e Jonathan Argyll.

Emozionante e scritto con grande perizia, Il caso Raffaello si rivela un autentico giallo d'autore, condotto con un raffinato controllo della suspense e ricchissimo di informazioni e curiosità sul mondo dell'arte e i suoi personaggi.

Jonathan Argyll, giovane studioso inglese di storia dell'arte, viene fermato dalla polizia mentre tenta d'introdursi in una piccola chiesa del centro di Roma.

La sua storia è incredibile: è sulle tracce di un perduto ritratto femminile di Raffaello, che si celerebbe dietro un dipinto del Settecento minore, già custodito nella chiesa e ora sparito.

Il dipinto, in realtà, è stato regolarmente venduto dal parroco a un mercante d'arte di Londra, il quale dopo aver annunciato al mondo di aver recuperato un Raffaello, lo mette all'asta.

Una mossa che scatena una serie di sospetti, non solo nel giovane, ma anche nel capo del nucleo per la tutela del patrimonio artistico, Taddeo Bottardi, incaricato di seguire il caso assieme alla sua collaboratrice Flavia Di Stefano.

E i sospetti si intensificano quando, dopo che il governo italiano è riuscito ad aggiudicarsi a un prezzo altissimo la tela, il giorno della presentazione alla stampa il presunto capolavoro va distrutto in un incendio.

Prima che le campane di Sant'Ignazio suonassero le sette del mattino, il generale Taddeo Bottardi, si accinse a salire le solite scale costellate di opere di tutta refurtiva recuperata. Era arrivato già da una decina di minuti, ma, rispettando una vecchia abitudine, si era fermato nel bar di fronte al museo a bere due espressi e mangiare un panino al prosciutto.

Gli abituali frequentatori del locale l'avevano salutato come si conveniva a un regolare cliente dalle abitudine mattiniere: un amichevole «buongiorno», un cenno con il capo, ma nessun tentativo di scambiare quattro chiacchiere.

Terminato quel piacevole rituale mattutino, il generale s'incamminò sull'acciottolato della piazza e affrontò le scale, cominciando a sbuffare e ansimare pesantemente ancora prima di aver terminato di salire la prima rampa. Non perché fosse sovrappeso, come si diceva spesso per rassicurarsi. Erano passati anni dall'ultima volta in cui era stato costretto a far allargare la divisa. Un po' corpulento, tutt'al più.

D'aspetto imponente, così preferiva definirsi. Avrebbe dovuto rinunciare alle sigarette, al caffè, al cibo, e fare invece un po' di esercizio fisico. Ma in tal caso quali piaceri gli avrebbe riservato l'esistenza? Inoltre, si stava avvicinando alla sessantina e ormai era troppò tardi per cominciare a pretendere una buona forma fisica. Lo sforzo avrebbe potuto ucciderlo.

Si fermò un attimo, in parte per osservare un nuovo dipinto appeso al muro, ma soprattutto per concedersi una furtiva opportunità di riprendere fiato. Doveva trattarsi, a occhio, di un piccolo quadro di Artemisia Gentileschi. Molto bello.

Era un vero peccato che dovesse essere restituito ai legittimi proprietari non appena tutto il lavoro burocratico fosse stato portato a termine, il colpevole denunciato e la documentazione inviata all'ufficio del magistrato inquirente. Ma quello era comunque uno dei piaceri derivanti dal trovarsi a capo del Nucleo investigativo per la tutela del patrimonio artistico italiano. Nelle rare occasioni in cui si riusciva a recuperare qualcosa, di solito ne valeva la pena.

Mentre aguzzava gli occhi per vedere meglio il dipinto, sentì una voce alle sue spalle:

«Niente male, non le pare?»

Bloccando gli ultimi ansiti di fatica, si voltò.

Flavia Di Stefano era una di quelle splendide donne che, secondo Bottardi, soltanto l'Italia era capace di generare, destinate a trasformarsi in mogli e madri devote, quando non sceglievano invece di dedicarsi a un'attività lavorativa. E, in questo secondo caso, s'impegnavano talmente a fondo, per mettere a tacere i sensi di colpa indotti dal rifiuto del tradizionale ruolo femminile, da battere qualunque maschio di svariate lunghezze.

Proprio per tale motivo otto dei dieci assistenti di Bottardi erano donne, il che, come lui ben sapeva, aveva indotto gli altri reparti di polizia ad affibbiare alla sua squadra uno sprezzante no­mignolo.

Però, a voler dirla tutta, il «bordello di Bottardi», perché così era stato soprannominato il suo ufficio da alcuni colleghi chiaramente gelosi, mieteva successi. Diversamente da altri funzionari, di cui lui avrebbe potuto fare nomi e cognomi.

…………………..

Due giorni dopo, trovò ad attenderlo sulla scrivania un voluminoso incartamento. Era il frutto dell'interrogatorio cui Flavia aveva sottoposto l'uomo fermato dai carabinieri e aveva tutti i segni distintivi della scrupolosa attenzione della giovane donna. Sopra il plico c'era un breve appunto:

«Sono convinta che troverà questa storia quanto mai sorprendente... F ».

In linea di principio, l'interrogatorio avrebbe dovuto essere condotto da un funzionario di polizia, ma Flavia aveva cominciato subito a parlare in inglese e preso in pugno la situazione. Nello sfogliare le pagine dell'incartamento, Bottardi si rese conto che in realtà l'uomo sapeva esprimersi piuttosto bene in italiano, era una cosa che balzava agli occhi, ma il funzionario di polizia in servizio in quel momento era un po' ottuso e con ogni probabilità si sarebbe lasciato sfuggire quasi tutti gli elementi di maggior interesse.

Il testo consisteva in una trascrizione condensata dell'interrogatorio, il tipo di verbale che viene inviato all'ufficio del magistrato inquirente nel caso in cui la polizia individui gli estremi per mettere in moto un'azione penale. Bottardi, dopo essersi preparato un espresso alla macchinetta nel corridoio - da molti anni il caffè era diventato per lui una sorta di droga, a tal punto che ormai, di notte, non riusciva a prendere sonno se non assumeva un'ultima dose di caffeina -, appoggiò i piedi sulla scri­vania e cominciò a leggere.

Nelle prime pagine non trovò alcuno spunto interessante. L'uomo in stato di fermo era inglese, aveva ventotto anni e stava seguendo all'università un dottorato di ricerca. Si trovava a Roma in vacanza ed era stato colto in flagrante mentre tentava di penetrare nella chiesa di Santa Barbara, nei pressi di Campo de' Fiori, apparentemente senza altra intenzione se non quella di schiacciarvi un pisolino. Nella chiesa infatti, a detta del parroco, non era stato rubato nulla né era stato compiuto alcun atto vandalico.

Tutte quelle precisazioni occupavano ben cinque pagine e Bottardi cominciò a chiedersi perché il suo ufficio fosse stato tirato in ballo e per quale motivo i carabinieri si fossero preoccupati di fermare quell'individuo.

Il fatto che intendesse mettersi a dormire in un edificio consacrato non poteva configurarsi come un reato da punire con l'arresto. Nei mesi estivi capitava spesso di trovare turisti stranieri che russavano allegramente quasi su ogni panca o prato della città.

A volte non avevano soldi, in qualche caso erano troppo ubriachi o troppo fatti per tornare in albergo, e non mancavano infine quelli che, non avendo trovato nel giro di alcuni chilometri neppure una camera in cui alloggiare, erano costretti a ricorrere a un simile ripiego.

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