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Il romanzo di Kheops - L'inferno del giudice

Il romanzo di Kheops - Il testamento degli dei è il secondo volume della trilogia Il romanzo di Kheops, scritta da Christian Jacq. 

Il libro è stato pubblicato in Francia nel 1993, e in Italia nel 1998.

Jacq è un famoso studioso dell’antico Egitto e chi non si è mai avvicinato alla sua scrittura può benissimo farlo con Il romanzo della piramide. Ha una scrittura fluida ma sicura, non lesina sui particolari di quella che era la vita o l’economia ai tempi di Ramses ma soprattutto sa dare carattere ai suoi personaggi. Pazair è di origini umili ma questo lo rende più giusto di altri, Neferet è una donna che vuol diventare medico e anche lei non avrà vita facile. D’altronde si sa, l’invidia è sempre stata una brutta bestia. Quello che adoro dei libri di Jacq è la descrizione dei paesaggi e delle piramidi.
 
Protagonisti:
 
Pazair: Protagonista del romanzo, e visir di Menfi.
Ramses II: Faraone d'Egitto.
Neferet
Suti
Kem
Bel-Train
Nebamon
Hattarousa: Principessa d'Egitto, divenuta tale grazie al suo matrimonio con il Faraone Ramses come concubina. Tenterà di uccidere Pazair attraverso diversi attentati.

Trama.

Il protagonista, Pazair, è il giudice di un piccolo villaggio a Tebe. Quando viene convocato a Menfi per svolgere il suo lavoro incontra non poche difficoltà. Il suo essere umile e giusto viene scambiato per arroganza e presunzione, gli “accusati” pensano che date le sue povere origini Pazair sia corruttibile come tutti ma nel corso della trilogia avranno modo di ricredersi. Quando infatti decide di indagare su una misteriosa scomparsa, i vertici al di sopra del suo ministero si aggregano per far ricadere su di lui la colpa, condannandolo a morte. Saranno solo il maestro Branir, l’amico fidato Souti e la bellissima Neferet a fare in modo che la verità venga a galla. E anche dopo l’assassinio di Branir, maestro ma anche mentore, padre e amico saranno sempre loro con Pazair a cercare e trovare la verità.

Trama.
 
L'inferno del giudice" è il primo volume della trilogia "Kheops, il romanzo della Piramide" scritta da Christian Jacq, e incentrata sulle indagini di un giovane giudice di campagna, Pazair, di soli venti anni, la cui rettitudine e integrità lo porta ad occupare la carica di magistrato nella capitale d'Egitto, Menfi, al tempo di Ramses il Grande. La storia inizia con un gruppo di congiurati che, uccidendo le guardie della sfinge di Giza, s'introducono all'interno della Piramide di Cheope per rubare il testamento degli dèi, un documento che attesta il potere del Faraone. Pazair comincia ad indagare sulla morte delle guardie, senza però sapere che ben presto si troverà invischiato in qualcosa di molto più grande e pericoloso: furti di grano dai silos reali e di oggetti in una preziosissima lega di ferro dal tempio di Ptah. Tra i segreti di Shashi, il chimico, e di Asher il generale corrotto, Pazair si destreggerà per arrivare ad un colpo di scena finale davvero ben costruito. Inoltre, a me piace molto la storia d'amore tra Neferet e Pazair, così come trovo azzeccati il nubiano Kem con il suo babbuino-poliziotto. E' anche commovente il coraggio e la frivolezza di Suti. 
 
 
  
Il caldo era talmente soffocante che solo lo scorpione nero si avventurava nel sabbioso cortile della prigione. A più di duecento chilometri a ovest della città sacra di Karnak, in una zona sperduta tra la valle del Nilo e l'oasi di Kharga, i criminali recidivi scontavano terribili condanne ai lavori forzati. Quando la temperatura lo permetteva, essi venivano impiegati per curare la manutenzione della strada che univa la valle all'oasi, sulla quale, trainate dagli asini, circolavano le carovane cariche di merci.
Il giudice Pazair rivolse, per la seconda volta, la sua richiesta al responsabile del campo, un colosso lesto nel colpire gli indisciplinati.
— Non sopporto il trattamento di favore che mi viene concesso. Voglio lavorare come gli altri prigionieri.
Pazair, la cui giovinezza era svanita sotto il fardello delle responsabilità, era snello, assai alto di statura, i capelli castani, la fronte spaziosa, gli occhi verdi striati di marrone, e aveva un portamento distinto che incuteva deferenza.
— Tu sei diverso dagli altri
— Sono anch'io un prigioniero.
— Sei in isolamento, non sei un condannato. Per quanto mi riguarda, nemmeno esisti. Sul registro non compare né il tuo nome né il tuo numero di identificazione.
— Questo non mi impedisce di spaccare le rocce.
— Torna a sedere.
Il responsabile della prigione diffidava di quel giudice. Non era stato lui ad aver impressionato l'Egitto con il processo al celebre generale Asher, accusato dal luogotenente Suti, il miglior amico di Pazair, di aver torturato e assassinato una staffetta dell'esercito egiziano e di aver collaborato con i beduini e i libici, i nemici di sempre?
Il cadavere dello sventurato non era stato rinvenuto nel luogo indicato da Suti. Dunque i giurati, non potendo incriminare il generale, si erano limitati a reclamare un supplemento d'indagine. Tale investigazione era stata presto interrotta, poiché lo stesso Pazair, caduto in un tranello, venne accusato dell'omicidio del proprio padre spirituale, il saggio Branir, designato quale futuro gran sacerdote di Karnak. Colto in flagrante sul luogo del delitto, il giudice era stato arrestato e deportato, a dispetto della legge.
Il giudice si sedette sulla sabbia rovente, nella posizione da scriba. Egli pensava incessantemente alla sua sposa Neferet. Per lungo tempo aveva creduto che lei non lo avrebbe mai amato; poi, violenta come il sole d'estate, era giunta la felicità. Una beatitudine bruscamente infranta, un paradiso dal quale era stato cacciato, senza speranza di potervi fare ritorno.
Si levò un vento caldo. I granelli di sabbia vorticavano e ferivano la pelle. Con il capo avvolto in un telo di stoffa bianca, il giudice Pazair non vi prestava alcuna attenzione, talmente era assorto a rivivere gli episodi della sua inchiesta.
 
Da piccolo magistrato di provincia quale era, venuto a smarrirsi nella grande città di Menfi, aveva commesso l'errore di occuparsi più da vicino, e con eccessivo zelo, di uno strano incartamento. Ciò gli aveva permesso di scoprire, uno dopo l'altro, l'assassinio dei cinque veterani che formavano la guardia d'onore della grande sfinge di Giza, un massacro camuffato da incidente, il furto di una grossa quantità di ferro celeste riservato ai templi, e infine un complotto, in cui erano coinvolte personalità d'alto rango.
Purtroppo, non era ancora riuscito a dimostrare in modo inconfutabile la colpevolezza del generale Asher nonché la sua intenzione di rovesciare il regno di Ramses il Grande. La sciagura si era abbattuta sul giudice proprio quando, ottenuti i pieni poteri, si accingeva a collegare fra loro gli elementi ancora sparsi.
Pazair rammentava ogni istante di quella orribile notte: il messaggio anonimo che gli annunciava il grave pericolo che correva il maestro Branir, la corsa disperata per le vie della città, il ritrovamento del cadavere del sapiente con un ago di madreperla conficcato nel collo. L'arrivo tempestivo del capo della guardie, che non esitò un solo istante ad accusare il giudice di assassinio, con la sordida complicità del decano del portico, il più autorevole magistrato di Menfi; l'arresto, la prigione e, in fondo al cammino, una morte solitaria, senza che la verità venisse rivelata.
La congiura era stata pianificata alla perfezione. L'appoggio di Branir avrebbe dato al giudice l'autorizzazione a ispezionare i templi, permettendogli di identificare i ladri del ferro celeste. Ma il suo maestro era stato eliminato, come pure i veterani, per mano di misteriosi assassini, i cui scopi restavano ignoti. Il giudice aveva appreso che, fra i malviventi, figuravano sia una donna sia uomini di origine straniera. Dunque, i suoi sospetti caddero sul chimico Sheshi, sul dentista Qadash e sulla moglie del trasportatore Denes, un uomo abbiente, influente e disonesto. Ma riguardo a ciò, il giudice non aveva alcuna prova.
Pazair resisteva alla canicola, alle tempeste di sabbia e al cibo disgustoso perché voleva sopravvivere per poter un giorno riabbracciare Neferet e veder trionfare la giustizia.
Di quali invenzioni si era servito il decano del portico, suo superiore gerarchico, per giustificare la sua sparizione, quali calunnie infamavano la reputazione del giudice?
Nonostante il campo di prigionia fosse privo di recinzioni e in aperta collina, l'evasione era una mera utopia. A piedi, non sarebbe andato lontano. Lo tenevano imprigionato in quel luogo perché deperisse. Finché, perduta ogni speranza, sarebbe caduto in preda al delirio, ossessionato dalla follia come un povero dissennato.
Né Neferet né Suti lo avrebbero abbandonato. Respingendo menzogne e calunnie, essi lo avrebbero cercato per tutto l'Egitto. Al giudice non restava altro che tenere duro, e lasciare che il tempo facesse il suo corso.
 
I cinque cospiratori si riunirono nella fattoria abbandonata dove erano soliti darsi appuntamento. L'atmosfera era serena, il piano pareva funzionare come previsto.
Dopo la profanazione della grande piramide di Cheope, il saccheggio delle maggiori insegne del potere, tra cui il cubito d'oro e il testamento degli dèi, senza le quali l'autorità di Ramses avrebbe perduto ogni legittimità, essi si approssimavano di giorno in giorno alla loro meta.
Sia l'assassinio dei veterani a guardia della sfinge, da dove partiva il corridoio sotterraneo attraverso il quale avevano potuto accedere alla piramide, sia l'eliminazione del giudice Pazair non erano che piccoli incidenti di percorso, al momento dimenticati.
— Rimane ancora da fare la cosa più importante — asserì uno dei congiurati — Ramses tiene duro.
— Non dobbiamo essere impazienti.
— Parla per te!
— Parlo a nome di tutti noi. È ancora presto per gettare le basi del nostro futuro impero. Più Ramses si renderà conto di trovarsi con le mani legate, senza possibilità di agire e prossimo alla capitolazione, più la nostra vittoria sarà agevole. Egli non può rivelare a nessuno il saccheggio della piramide, né ammettere che il centro di energia spirituale, di cui è unico detentore, ha perduto la propria efficacia.
— Ben presto perderà la propria forza e sarà costretto a compiere il rito della rigenerazione.
— Chi glielo impone? — La tradizione, i sacerdoti, e lui stesso! È impossibile sottrarsi a tale imperativo.
— Al termine della cerimonia dovrà mostrare al popolo il testamento degli dèi!
— Il testamento che è nelle nostre mani.
— Solo allora Ramses abdicherà a favore del suo successore.
— Colui che noi abbiamo designato.
I congiurati già pregustavano il proprio trionfo. A Ramses il Grande, ridotto al rango di schiavo, non veniva lasciata alcuna scelta. Ciascun membro del complotto sarebbe stato ricompensato in base ai propri meriti, e tutti in futuro avrebbero occupato una posizione di grande prestigio. Stavano per impadronirsi del più grande paese del mondo; ne avrebbero modificato l'assetto e cambiato le leggi secondo una concezione di vita radicalmente opposta a quella di Ramses, rimasto legato a valori antiquati.
In attesa che il frutto giungesse a maturazione, si adoperavano per infittire le proprie reti di connivenze, di simpatizzanti e di alleati. Crimine, corruzione e violenza non venivano disdegnati da nessuno dei cospiratori, poiché tale era il prezzo da pagare per la conquista del potere.
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