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La Ragazza che Giocava con il Fuoco

 
Mikael Blomkvist è tornato saldamente alla direzione di Millennium, la rivista da lui fondata è ascesa alle luci della ribalta per aver smascherato i loschi traffici dei vertici della finanza svedese.

Unico rimpianto: non avere più alcun rapporto con la giovane, geniale hacker Lisbeth Salander, che gli ha salvato la vita e con cui ha avuto una breve ma intensa relazione.

Lisbeth, infatti, ha tagliato ogni contatto e si trova in viaggio ormai da mesi, alle prese con il tentativo di ricostruirsi una vita dopo la travagliata (e ai lettori pressoché sconosciuta) infanzia, le violenze del tutore e una nuova emergente passione: la matematica, cui si appassiona nel tentativo di risolvere una versione del teorema di Fermat.

Il giornale è in procinto di dare alle stampe un'esplosiva inchiesta sul trafficking di prostitute dai paesi dell'Europa orientale, nata dalla collaborazione con il giornalista Dag Svennson e la sua compagna Mia Bergman.

Il progetto si blocca nel modo più cruento: l'uccisione di Dag e Mia, nonché dell'avvocato Nils Bjurman, crudele tutore di Lisbeth. Le indagini di polizia e media si concentrano su quest'ultimo delitto e scatta una caccia all'uomo nazionale alla ricerca della violenta, pericolosa, vendicativa e asociale hacker.

A crederla innocente solo pochi fedelissimi tra cui Mikael, che conosce le singolari abitudini, ma la forte moralità di Lisbeth, la donna che si difende da sola e che odia gli uomini che odiano le donne.

L'intrigo si fa sempre più ampio e coinvolge poliziotti, politici e perfino esponenti dei servizi segreti, trascinato dai disperati sforzi di Mikael di dimostrare l'innocenza dell'amica e forse di salvarla da un destino anche peggiore.


Era legata con cinghie di cuoio a una stretta branda con il telaio in accia-io. Le cinghie tese sopra il torace premevano. Era stesa sulla schiena. Lemani bloccate all'altezza dei fianchi.Ormai aveva rinunciato da tempo a qualsiasi tentativo di liberarsi. Erasveglia ma teneva gli occhi chiusi. Se li avesse aperti si sarebbe ritrovata albuio, l'unica fonte di luce era una debole striscia che filtrava da sopra laporta. Si sentiva in bocca un sapore cattivo e non vedeva l'ora di potersilavare i denti.Una parte della sua coscienza tendeva l'orecchio per cogliere il rumoredi passi che avrebbe indicato che lui stava arrivando. Non aveva la minimaidea di che ora della sera fosse, al di là del fatto che aveva l'impressioneche cominciasse a essere troppo tardi perché venisse a trovarla. Un'im-provvisa vibrazione della branda la indusse ad aprire gli occhi. Era comese un macchinario di qualche genere si fosse avviato da qualche parteall'interno dell'edificio. Ma dopo un paio di secondi non sapeva se fossestata solo un'illusione oppure se il rumore fosse stato reale. 

Mentalmente spuntò un altro giorno sul calendario.Era il suo quarantatreesimo giorno di prigionia.Avvertì un prurito nel naso e girò la testa in modo da poterlo sfregarecontro il cuscino. Sudava. Nella stanza l'aria era calda e soffocante. Indos-sava una semplice camicia da notte che le si era arrotolata sotto il corpo.Spostando l'anca riusciva ad afferrare l'indumento fra l'indice e il medio ea tirarlo giù da una parte un poco alla volta. Ripeté il procedimento conl'altra mano. Ma la camicia faceva ancora una piega sotto l'osso sacro. Ilmaterasso era sformato e scomodo. Il totale isolamento faceva sì che ognipiccola impressione, che altrimenti sarebbe passata del tutto inosservata, siingigantisse pesantemente. Le cinghie erano abbastanza lasche da permet-terle di cambiare posizione e mettersi sul fianco, ma anche così era scomo-da perché doveva stare con una mano dietro la schiena e questo le facevaintorpidire il braccio.Non era spaventata. Al contrario sentiva accumularsi dentro di sé unarabbia violenta.

Ma era anche tormentata dai suoi stessi pensieri che si trasformavanocostantemente in sgradevoli fantasie su ciò che le sarebbe successo. Odia-va la sua impotenza coatta. Per quanto cercasse di concentrarsi su qual-cos'altro per far passare il tempo e reprimere il pensiero della sua situazio-ne, l'angoscia riusciva comunque a filtrare. Ristagnava intorno a lei comeuna nube di gas minacciando di infiltrarsi nei suoi pori e avvelenarle l'esi-stenza. Aveva scoperto che il modo migliore per tenere lontana l'angosciaera fantasticare di qualcosa che le desse una sensazione di forza. Chiuse gliocchi e richiamò l'odore della benzina. Lui era in macchina con il finestrino aperto. Lei gli si avventava contro,versava la benzina e accendeva un fiammifero. Questione di un attimo. Le fiamme si alzavano subito. Lui si contorceva dal dolore e lei sentiva le sueurla di terrore e sofferenza. Poteva percepire l'odore della carne bruciatae quello più aspro del rivestimento e dell'imbottitura dei sedili che si incenerivano. Probabilmente si era assopita, dal momento che non aveva sentito i pas-si, ma di colpo fu perfettamente sveglia quando la porta si aprì. La luce dalrettangolo illuminato l'accecò.Alla fine lui era venuto.Non sapeva quanti anni potesse avere, ma era grande. Aveva i capelli arruffati castano scuro, occhiali cerchiati di nero e una rada barbetta. Profumava di dopobarba. Odiava il suo odore.

 

 Rimase ritto in silenzio ai piedi della branda e la osservò a lungo. Odiava il suo silenzio.

 Il suo viso era in ombra nel controluce della porta aperta e lei vedeva so-lo la sua sagoma. D'un tratto le rivolse la parola. Aveva una voce nitida eprofonda che sottolineava in maniera pedante ogni parola. Odiava la sua voce.  Le disse che era il suo compleanno e che voleva farle gli auguri. La vocenon era sgarbata o ironica. Era semplicemente neutra. Lei indovinò chestava sorridendo.   

Lo odiava. 

 Lui si avvicinò e girò intorno alla branda. Poggiò il dorso di una manoumidiccia sulla sua fronte e le passò le dita fra i capelli in un gesto cheprobabilmente voleva essere gentile. Era il suo regalo di compleanno perlei. Odiava il suo contatto.

 Lui cominciò a parlare. Lei vedeva la bocca muoversi ma si sforzava diescludere il suono della sua voce. Non voleva ascoltare. Non voleva ri-spondere. Lo sentì alzare il tono. Un tocco di irritazione per la sua mancanza di reazione si era insinuato nella voce dell'uomo.

Stava parlando direciproca fiducia. Dopo parecchi minuti tacque. Lei ignorò il suo sguardo.Poi lui alzò le spalle e cominciò a sistemare le cinghie. Le strinse un po'sul torace e si chinò su di lei.Lei si voltò di scatto verso sinistra, più bruscamente che poté. Raccolsele ginocchia fin sotto il mento e poi scalciò forte contro la sua testa. Mira-va al pomo d'Adamo e lo colpì in un punto sotto il mento, ma lui era pre-parato e si scostò, e il risultato fu solo un colpo leggero, appena percettibile.

Cercò di scalciare di nuovo ma lui era già fuori portata.Le sue gambe sprofondarono di nuovo nella branda.Il lenzuolo pendeva sul pavimento. La camicia da notte era finita moltoal di sopra dei fianchi.Lui rimase immobile senza dire nulla. Poi le girò intorno e cominciò alegarle i piedi.

Lei cercò di tirare le gambe verso di sé ma lui le afferrò unacaviglia e le abbassò di forza il ginocchio con l'altra mano, bloccandole ilpiede con una cinghia. Poi fece il giro della branda e le legò anche l'altropiede.Adesso era ridotta alla totale impotenza.Raccolse il lenzuolo e la coprì. La guardò in silenzio per due minuti. Leipoteva sentire la sua eccitazione nella penombra benché lui non ne facessemostra in alcun modo. Di sicuro aveva un'erezione.

Sapeva che avrebbevoluto allungare una mano e toccarla.Poi lui si voltò e uscì chiudendosi la porta alle spalle. Sentì che chiudevacol catenaccio, cosa perfettamente inutile dal momento che non aveva nessuna possibilità di slegarsi dalla branda.Rimase diversi minuti con lo sguardo fisso sulla sottile striscia di lucesopra la porta.

Poi cominciò a muoversi per cercare di capire quanto fosse-ro strette le cinghie. Riuscì a piegare un po' le ginocchia ma quelle che lebloccavano i piedi opposero immediatamente resistenza. Si rilassò. Restòstesa assolutamente immobile, fissando nel nulla.Aspettava. Intanto fantasticava di una tanica di benzina e di un fiammifero.  Lo vide imbevuto di benzina. Poteva percepire fisicamente la scatola dei fiammiferi nella propria mano. La scosse. Ne udì il tipico rumore.

Aveva incontrato una donna che gli insegnava sia la matematica che l'ero-tismo.Aprì la porta e le sorrise estasiato.«Ti va un po' di compagnia?» domandò lei.Lisbeth Salander lasciò George Bland poco dopo le due di notte. Si sen-tiva un piacevole calore dentro e passeggiò lungo la spiaggia anziché se-guire la strada verso il Keys Hotel.

Camminava da sola nel buio, sapendoche George l'avrebbe seguita a circa cento metri di distanza.Lo faceva sempre. Non si era mai fermata a dormire da lui, ma spessoGeorge esprimeva vibranti proteste contro il fatto che una donna facesse ri-torno al suo albergo da sola in piena notte, e insisteva nell'affermare cheera suo dovere riaccompagnarla in albergo. In particolare quando facevanomolto tardi. Lisbeth ascoltava paziente le sue motivazioni e poi troncava ladiscussione con un semplice no.

 Io vado dove mi pare e quando mi pare.Fine della discussione. E no, non voglio avere nessuna scorta. La primavolta che si era resa conto che lui la seguiva, si era infastidita.

Ma adessovedeva nel suo istinto di protezione un certo fascino e perciò fingeva dinon sapere che lui camminava dietro di lei e che sarebbe tornato verso casasolo dopo averla vista varcare la soglia del suo albergo.Si chiedeva cosa avrebbe fatto se lei d'improvviso fosse stata aggredita.Personalmente, Lisbeth avrebbe utilizzato il martello che aveva acquista-to da MacIntyre's e che teneva nello scomparto esterno della borsa a tracolla.


C'erano poche configurazioni di minaccia fisica cui l'uso di un buonmartello non potesse porre rimedio, pensava.Il cielo era limpido e stellato, e c'era la luna piena. Lisbeth alzò lo sguar-do e identificò Regolo nella costellazione del Leone bassa sull'orizzonte.

Era quasi arrivata all'albergo quando si fermò di colpo. Aveva intravistol'ombra di una figura umana più giù sulla spiaggia, a riva, davanti all'hotel.Era la prima volta che le capitava di vedere un'anima viva sulla spiaggiadopo il calare dell'oscurità. Anche se la distanza era di quasi cento metri,non ebbe nessun problema a identificare l'uomo al chiarore della luna.Era il rispettabile dottor Forbes della stanza 32.Con pochi rapidi passi si spostò di lato e si fermò sotto gli alberi.

Quando voltò la testa, constatò che anche George Bland si era reso invisibile. Lafigura sulla battigia si muoveva lentamente avanti e indietro. Stava fuman-do una sigaretta. A intervalli regolari si fermava e si chinava, come se stes-se esaminando la sabbia. La pantomima andò avanti per venti minuti, poil'uomo cambiò bruscamente direzione e si diresse a passi spediti verso l'in-gresso dell'albergo sulla spiaggia, sparendo.Lisbeth attese qualche minuto prima di portarsi dove il dottor Forbes a-veva passeggiato.

Descrisse un lento semicerchio esaminando il terreno.Riusciva a vedere solo sabbia, conchiglie e qualche sasso. Dopo un paio diminuti interruppe lo studio della battigia e si diresse verso l'albergo.Uscì sul suo balcone, si chinò sopra la ringhiera e sbirciò nel balcone deivicini.

Tutto era tranquillo e silenzioso. Il litigio serale evidentemente erafinito. Dopo un momento andò a prendere la borsa, tirò fuori una cartina esi arrotolò uno spinello con la scorta che le aveva fornito George Bland. Sisedette sul balcone. Guardava il mare scuro dei Caraibi mentre fumava epensava.Si sentiva come un'apparecchiatura radar in stato di massima allerta.

 



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