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La Verità del Ghiaccio


Un meteorite, sepolto sotto i ghiacci del circolo polare artico, è stato localizzato dalla Nasa e sembra contenga fossili di insetti che proverebbero una volta per tutte l'esistenza di vite extraterrestri.Prima di divulgare la notizia, il presidente degli Stati Uniti vuole essere sicuro dell'autenticità della scoperta, anche per non compromettere la sua futura (ma già incerta) rielezione. La giovane Rachel Sexton e il professor Michael Tolland sono inviati sul posto insieme ad altri studiosi ma presto si rendono conto che si tratta di una truffa colossale, orchestrata ad arte. Ma da chi? E chi ha assoldato la banda di killer che li ha presi di mira, costringendoli a scappare e a rifugiarsi tra i banchi galleggianti di ghiaccio?

Dopo averci guidato fra i segreti del passato con il Codice da Vinci e Angeli e demoni, in questo terzo romanzo Dan Brown ci trasporta nel mezzo degli intrighi del potere americano di oggi, dove la realtà non è quella che appare e dove dietro ogni angolo il pericolo è in agguato. Terza prova di uno degli scrittori più acclamati del mondo (il suo Codice da Vinci, best seller mondiale, è stato il romanzo più letto in Italia negli ultimi anni), La verità del ghiaccio (edizione italiana dell’americano Deception point) è un thriller ambientato tra i freddi paesaggi del Circolo polare artico e gli attrezzatissimi centri della Nasa, la più potente agenzia aerospaziale del mondo, con continue incursioni nei piani alti del potere americano, alla Casa Bianca.
Al centro della storia vi è il ritrovamento misterioso fatto dagli scienziati della Nasa di un meteorite che dovrebbe contenere fossili di insetti, il che costituirebbe una prova di forme di vita extraterrestri. Il successo della Nasa, costituito dalla scoperta, ha profonde implicazioni per la politica spaziale americana e per le imminenti elezioni presidenziali Usa.

Scatta dunque una caccia alla verità su questo grosso frammento di meteora: la ricercatrice Rachel Sexton, accompagnata da un team di esperti, compreso il carismatico professor Michael Tolland, scopre una inimmaginabile truffa scientifica, una chiara frode ben orchestrata con mezzi tecnologici sofisticati che rischia di aprire una polemica mondiale. Ma prima che Rachel riesca a contattare il Presidente degli Stati Uniti, Zachary Herney, lei e Michael subiscono un agguato da parte di una banda di killer disposti a tutto. E hanno solo una via di scampo: scoprire chi si muove dietro tutto quel complotto e denunciare il grande imbroglio all’opinione pubblica.

Un Dan Brown nuovo e sorprendente, che ci porta a bordo di aerei jet e Air Force One presidenziali, sulla banchisa del Polo, fra astrofisici e ricercatori che si spostano con slitte trainate da cani husky, in tende da campo termiche adatte ai climi estremi e in laboratori aerospaziali nei quali si aggirano, fra gli altri, microrobot telecomandati. Si fruga continuamente tra campioni di roccia e ghiaccio. In cerca di una verità nascosta.  


PROLOGO

La morte, in quel luogo remoto, poteva arrivare sotto innume­revoli forme. Il geologo Charles Brophy conviveva da anni con il fascino selvaggio di quel territorio, eppure nulla lo ave­va preparato al destino barbaro e innaturale che stava per ab­battersi su di lui.

I quattro husky che trainavano nella tundra la slitta carica di strumenti per le rilevazioni geologiche all'improvviso ral­lentarono, con il muso rivolto al cielo.
«Cosa c'è, ragazze?» chiese Brophy, scendendo dalla slitta.

Tra le nubi in rapido addensamento, un elicottero hirotore da trasporto si abbassava in ampi cerchi costeggiando i picchi di ghiaccio con militaresca perizia.
"Strano" pensò. "Mai visti elicotteri tanto a nord." H mezzo atterrò a una trentina di metri da lui, sollevando spruzzi pun­genti di neve granulosa. I cani presero a guaire, irrequieti.
Si aprì il portello e dall'elicottero scesero due uomini in tu­ta termica bianca, armati di fucile, che puntarono decisi verso di luì.

«Il dottor Brophy?» chiese uno.

Il geologo rimase interdetto. «Come fate a conoscere il mio nome? Chi siete?»

«Tiri fuori la radio, per favore.»

«Prego?»

«Faccia come le dico.»

Sconcertato, Brophy estrasse la radio dal parka.

«Deve trasmettere per conto nostro una comunicazione di emergenza. Diminuisca la frequenza a cento chilohertz.»

"Cento chilohertz?" Brophy non capiva. "Impossibile ricevere a una frequenza così bassa." «C'è stato un incidente?»

fl secondo uomo sollevò il fucile per puntarglielo alla testa. «Non c'è tempo per le spiegazioni. Si limiti a fare come le vie­ne detto.»

Con mani tremanti, Brophy regolò la frequenza. fl primo uomo gli porse un foglietto su cui erano scritte po­che righe. «Trasmetta questo messaggio. Subito.»

Brophy lo lesse. «Non capisco. Questa informazione è sba­gliata. Io non ho...»

L'uomo gli premette la canna del fucile contro la terapia. In preda all'agitazione, Brophy trasmise lo strano messaggio. «Bene» disse il primo. «Ora salga in elicottero con i cani.»

Con l'arma puntata contro, il geologo spinse gli husky rilut­tanti e la slitta su per la rampa che conduceva al vano di cari­co. Non appena si furono sistemati, l'elicottero si alzò in volo per dirigersi verso ovest.

«Chi diavolo siete?» chiese Brophy, cominciando a sudare. «E cosa significava quel messaggio?» Nessuna risposta.

Mentre l'elicottero guadagnava quota, il vento penetrava con forza dal portello aperto. I quattro husky, ancora legati al­la slitta carica, presero a uggiolare.

«Almeno chiudete il portello» disse Brophy. «Non vedete che i cani sono spaventati?» Nessuna risposta.

Raggiunti i milleduecento metri, il velivolo si inclinò bru­scamente su una serie di crepacci di ghiaccio. All'improvviso, gli uomini si alzarono.

Senza una parola, agguantarono la pe­sante slitta e la scaraventarono fuori dal portello.

Brophy guardò inorridito i cani che tentavano invano di resistere all'e­norme peso che li trascinava fuori. Un istante dopo, gli anima­li scomparvero ululando nel vuoto.

Brophy scattò in piedi gridando. Gli uomini lo afferrarono e lo trascinarono verso il portello.
Annebbiato dal terrore mu­linò i pugni, cercando di allontanare le forti mani che lo spin­gevano fuori. Non servì a nulla. Qualche istante più tardi, Charles Brophy precipitava nel baratro sottostante.
 
fl ristorante Toulos, vicino a Capitol Hill, vanta un menu poli­ticamente scorretto di vitello da latte e carpaccio di cavallo, che ironicamente lo rende un posto di grande richiamo per la quintessenza del potere di Washington.

Quel mattino era mol­to affollato: una cacofonia di acciottolio di posate, sbuffi della macchina per l'espresso e conversazioni al cellulare.

fl maìtre stava bevendo furtivamente un sorso del consueto Bloody Mary del mattino quando entrò la donna. Si voltò con un sorriso per il quale si era esercitato degli anni. «Buongior­no, posso esserle utile?»

La donna era attraente, sui trentacinque anni, pantaloni gri­gi di flanella dalla piega perfetta, mocassini classici, camicetta avorio di Laura Ashley, postura eretta - mento lievemente sol­levato -, non arrogante ma semplicemente determinata. Capel­li castano chiaro acconciati nello stile più in voga di Washing­ton - quello della "anchorwoman", un morbido caschetto a sfiorare le spalle - abbastanza lunghi da essere sexy, ma suffi­cientemente corti da lasciare intendere che forse aveva più cer­vello di te.

«Sono un po' in ritardo» disse con semplicità. «Ho appunta­mento per colazione con il senatore Sexton.»

fl maìtre avvertì un imprevisto fremito di nervosismo. Il se­natore Sedgewick Sexton. Un cliente abituale e, al momento, uno degli uomini più famosi del paese. Uscito trionfatore la settimana precedente nelle primarie repubblicane nel Super Martedì, aveva ormai praticamente in tasca la nomination del partito per la presidenza degli Stati Uniti. Erano in molti a ritenere che avesse ottime probabilità di sottrarre la Casa Bian­ca nelle elezioni d'autunno al bersagliato presidente in carica. Negli ultimi giorni, il volto di Sexton era comparso su tutte le riviste e il suo slogan elettorale tappezzava l'America: "Stop alla spesa. Cominciamo la ripresa".
«Il senatore è al suo tavolo» annunciò il maìtre. «Lei è...?»
«Rachel Sexton, sua figlia.»

"Che cretino" si disse. La somiglianzà era evidente. Gli stes­si occhi penetranti e il portamento elegante del senatore.

La stessa aria aristocratica consolidata. Nel loro caso, il bell'a­spetto non aveva saltato una generazione, e anzi Rachel Sex­ton sembrava portare le sue doti con una grazia e una mode­stia da cui il padre avrebbe potuto imparare.

«È un piacere averla qui, signora.»

Guidò la figlia del senatore nella sala da pranzo, imbarazza­to dal fuoco incrociato di sguardi maschili che la seguivano... alcuni discreti, altri meno. Poche donne pranzavano al Toulos e nessuna era attraente come Rachel Sexton.

«Bel corpo» sussurrò un cliente. «Sexton si è già trovato un'altra moglie?»

«È sua figlia, idiota» replicò un altro.

L'uomo si mise a ridere. «Conoscendolo, Sexton non esite­rebbe a scoparsi pure lei.»

Quando Rachel arrivò al tavolo, il padre commentava al cel­lulare uno dei suoi recenti successi. Alzò lo sguardo per un attimo, poi battè sul suo Cartier per farle presente che era in ritardo.

"Anche tu mi sei mancato" pensò Rachel.

n primo nome del senatore era Thomas, ma Sexton da mol­to tempo aveva adottato il secondo nome. Rachel sospettava che fosse perché gli piaceva l'allitterazione. Senatore Sed-gewick Sexton. Era un uomo brizzolato, dalla parlantina sciol­ta, un animale politico provvisto della bella presenza di un medico di soap opera, assolutamente appropriata considerato il suo talento come attore.

«Rachel!» Il senatore spense il cellulare e si alzò per baciare la figlia sulla guancia.

«Ciao, papa.» Non gli restituì il bacio.

«Hai l'aria esausta.»

"Adesso comincia" pensò lei. «Ho ricevuto il tuo messag­gio. Che c'è?»
«Non posso invitare mia figlia a colazione?»

Rachel sapeva da tempo che il padre richiedeva la sua com­pagnia soltanto per qualche motivo non certo disinteressato.

Sexton bevve un sorso di caffè. «Allora, dimmi, come ti vanno le cose?»

«Sempre di corsa. La tua campagna procede bene, vedo.»
«Oh, non parliamo di lavoro.» Sexton si sporse verso di lei abbassando la voce. «Come va con quel tìzio del dipartimento di Stato con cui ti ho messo in contatto?»
Rachel sospirò, reprimendo il desiderio di guardare l'orolo­gio. «Papa, non ho proprio avuto il tempo di chiamarlo. E vor­rei che la smettessi di...»
«Devi trovare il tempo per le cose importanti, Rachel. Senza amore, niente ha più senso.»

Le vennero in mente parecchie risposte pungenti, ma scelse il silenzio. In presenza del padre, non era difficile comportarsi come l'adulta dei due. «Papa, volevi vedermi? Hai detto che si trattava di una questione importante.»
«Infatti.» Il senatore la studiò con attenzione.

Rachel sentì parte delle sue difese sciogliersi sotto quello sguardo, e maledisse il potere di quegli occhi, un dono straor­dinario che forse l'avrebbe portato alla Casa Bianca.

A coman­do, potevano riempirsi di lacrime e, un istante dopo, rischiarar­si, lasciando intravedere un'anima appassionata che stabiliva un patto di fiducia con chiunque. "Tutta una questione di fidu­cia" ripeteva sempre lui. H senatore aveva perso da anni quella di Rachel, ma stava rapidamente conquistando quella della nazione.

«Ho una proposta da farti» le disse.

«Lasciami indovinare.» Rachel cercò di rafforzare la sua po­sizione. «Un divorziato molto in vista sta cercando una mo­glie giovane?»

«Non ti illudere, tesoro. Non sei più tanto giovane.»

Rachel avvertì il ben noto desiderio di fuga che spesso ca­ratterizzava gli incontri con il padre.
«Voglio lanciarti una zattera di salvataggio» disse lui.

«Non mi ero accorta di essere sul punto di affogare.»

«Non sei tu ad affogare, ma il presidente. Dovresti abban­donare la nave prima che sia troppo tardi.»

«Ne abbiamo già discusso ampiamente.»

«Pensa al tuo futuro, Rachel. Potresti venire a lavorare per me.»

«Spero che tu non mi abbia invitato a colazione per questo.»

Una lieve crepa apparve nella maschera impassibile del se­natore. «Rachel, non ti rendi conto che il fatto che lavori per lui si riflette negativamente su di me e sulla mia campagna?»

Rachel sbuffò. Un argomento affrontato più volte. «Papa, io non lavoro per il presidente. Non l'ho neppure mai incontra­to. Lavoro a Fairfax, santo cielo!»
«La politica è percezione, Rachel. E quello che davvero si percepisce è che lavori per il presidente.»

Rachel espirò, cercando di non perdere la calma. «Mi sono impegnata a fondo per ottenere questo posto, papa, e non ho alcuna intenzione di mollarlo.»

Il senatore strinse gli occhi. «Sai, a volte questo tuo compor­tamento egoista proprio...»

«Senatore Sexton?» Un cronista si materializzò vicino al ta­volo.

L'atteggiamento del senatore si ammorbidi all'istante. Con un sospiro, Rachel prese un croissant dal cestino.

«Ralph Sneeden» si presentò il cronista «del "Washington Post". Posso farle qualche domanda?»

Con un sorriso, il senatore si passò il tovagliolo sulla bocca. «Con piacere, Ralph. Solo, faccia in fretta. Non voglio che mi si freddi il caffè.»

Il cronista rise come se quella fosse stata una battuta. «Cer­to, signore.» Tirò fuori un minuscolo registratore e lo accese. «Senatore, nei suoi spot televisivi lei promette una legislazio­ne che assicuri parità di trattamento economico al lavoro fem­minile... come pure benefici fiscali per le nuove famiglie. Mi può dire le sue motivazioni di fondo?»

«Senz'altro. Sono un acceso sostenitore delle donne forti e delle famiglie solide.»
A Rachel andò di traverso il croissant.

«A proposito di famiglia, lei parla spesso di istruzione. Propone tagli di bilancio molto controversi per destinare maggio­ri risorse alla scuola.»

«Credo che i giovani siano il nostro futuro.»

Rachel stentava a credere che suo padre si fosse abbassato al punto di citare le canzoni pop.

«Un'ultima cosa, senatore. Nelle scorse settimane lei ha fatto un enorme balzo in avanti nei sondaggi. Il presidente ha di che preoccuparsi. Qualche riflessione sui suoi recenti successi?»

«Ritengo che sia una questione di fiducia. Gli americani co­minciano a dubitare che il presidente sia in grado di prendere le difficili decisioni che interessano la nazione. La spesa pub­blica incontrollata accresce ogni giorno il debito, e gli america­ni si rendono conto che è tempo di dire: "Stop alla spesa, co­minciamo la ripresa".»

Ad arrestare la retorica del padre, il pager ronzò nella borsa di Rachel. Di solito quel fastidioso bip elettronico risultava un'interruzione assai sgradita, ma al momento lei lo percepì come un suono quasi melodioso.

Il senatore non fece nulla per mascherare la propria irrita­zione.

Rachel pescò il pager nella borsa e premette una sequenza preordinata di cinque tasti, confermando di essere effettiva­mente la legittima proprietaria del dispositivo, fl bip terminò e il display a cristalli liquidi cominciò a lampeggiare. Nel giro di quindici secondi avrebbe ricevuto un messaggio dal testo non intercettabile.

Sneeden sorrise al senatore.

«Sua figlia è evidentemente una donna molto occupata. È un piacere constatare che, mal­grado i vostri molteplici impegni, troviate il tempo di fare co­lazione insieme.»
 
 
 
«Come ho detto più volte, la famiglia deve sempre avere la precedenza.»
Sneeden annuì, poi la sua espressione si fece più seria. «Posso chiederle, signore, come riuscite a gestire il vostro con­flitto di interessi?»

«Quale conflitto?» fl senatore Sexton inclinò la testa con aria di innocente stupore. «A che cosa si riferisce?»

Rachel alzò gli occhi con una smorfia. Sapeva esattamente

dove avrebbe portato tutta quella manfrina. "Maledetti giorna­listi" pensò. Metà di loro era sul libro paga di qualche politico. La domanda era quella che i cronisti definivano un'"imbecca-ta", cioè appariva come un'aggressiva richiesta di informazio­ni, mentre in realtà era stata concordata in precedenza, un len­to pallonetto che suo padre poteva schiacciare con forza per chiarire alcune cose che gli stavano a cuore.

«Senatore...» Sneeden tossì, fingendosi imbarazzato. «Il conflitto sta nel fatto che sua figlia lavora per l'avversario.»

Sexton liquidò il problema con una risata.

«Ralph, per pri­ma cosa, il presidente e io non siamo avversati, ma soltanto due patrioti con idee diverse su come governare il paese che amiamo.»

Il cronista parve raggiante. Sexton aveva abboccato. «E la seconda?»

«Mia figlia non lavora per il presidente ma per l'intelligence. Redige rapporti e li invia alla Casa Bianca. È una posizione di basso profilo.» Fece una pausa per guardare Rachel. «In effet­ti, cara, mi pare che tu non abbia mai incontrato il presidente, vero?»

Rachel lo fulminò con un'occhiataccia.

Lo decifrò all'istante e aggrottò la fronte. Era un messaggio inaspettato, e sicuramente significava cattive notizie, ma al­meno le forniva una via d'uscita. «Signori» disse «mi dispiace, ma devo proprio andare. Sono già in ritardo.»

Il cronista non perse tempo. «Prima che ci lasci, vorrei che commentasse le voci secondo cui lei ha chiesto questo incon­tro a suo padre per parlargli della possibilità di licenziarsi per collaborare alla sua campagna elettorale.»

Rachel ebbe la sensazione che qualcuno le avesse lanciato in faccia un caffè bollente. La domanda la colse alla sprovvista, ma guardando il padre percepì dal suo sorriso compiaciuto che era stata accuratamente preparata.

Rachel fissò il giornalista negli occhi. «Ralph, o come diavolo si chiama, si ficchi bene in mente una cosa: non ho alcuna intenzione di lasciare il mio posto per lavorare per il senatore Sexton e, se scrive qualcosa di diverso, avrà bisogno di un calzascarpe per sfilarsi dal culo quel suo registratore di merda.»

Il reporter spalancò gli occhi. Spense l'apparecchio repri­mendo un sorriso. «Grazie a tutti e due.» E scomparve.

Rachel si pentì immediatamente di quello scoppio d'ira. Aveva ereditato dal padre l'irruenza, e lo odiava per quello. "Calma, Rachel. Sta' calma."

Il padre la fissava con disapprovazione. «Faresti bene a im­parare a controllarti.»
Rachel si preparò ad alzarsi. «La riunione è finita.»

Il senatore sembrava comunque avere concluso con lei. Tirò fuori il cellulare per fare una chiamata. «Arrivederci, cara. Passa a trovarmi in ufficio, uno di questi giorni. E sposati, per l'amor del cielo. Hai trentatré anni.»

«Trentaquattro» sbottò lei. «La tua segretaria mi ha mandato gli auguri.»
Lui abbozzò una risatina nervosa. «Trentaquattro, quasi una vecchia zitella. Sai, a trentaquattro anni io avevo già...»

«Sposato la mamma e scopato la vicina di casa?» Le parole le uscirono a voce più alta di quanto non intendesse e si librarono nitide una pausa della conversazione generale. Tutti i com­mensali agli altri tavoli si voltarono a guardarli.

Gli occhi del senatore Sexton, due penetranti cristalli di ghiaccio, ebbero un lampo. «Farai meglio a badare a come parli, signorina.»

Rachel si diresse alla porta. "No, bada tu a come parli, se­natore."

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