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La Quarta Verità

Fin dal termine della prima parte de La Quarta Verità di Iain Pears, infatti, il lettore comprende che si trova davanti a quattro testimoni dai punti di vista così diversi che, pur avendo tutti vissuto in prima persona l’omicidio di un professore nella Oxford del 1663, le testimonianze, le deduzioni, le conclusioni di ciascun protagonista sembrano, in buona fede o per calcolo, smentire quelle degli altri.

Nonostante un colpo di scena finale facilmente prevedibile, si è spinti ad arrivare alla fine delle oltre 700 pagine La quarta verità, mantiene intatto il fascino del romanzo basato su fonti storiche, su fatti realmente accaduti e su personaggi realmente esistiti nell’Inghilterra, e nell’Europa, del diciassettesimo secolo. Diplomazia, intrighi, complotti, guerre di religione, nuove teorie filosofiche e mediche…

C’è n’è un po’ per tutti i gusti ed anche il lettore più esigente apprezzerà, oltre alla trama, lo sforzo linguistico, di Iain Pears che ha saputo tratteggiare ognuno dei protagonisti in modo impeccabile anche dal punto di vista espressivo.

L'idea veramente originale di questo libro è quella di raccontare quattro volte la stessa storia. Quella che sembra un'oggettiva sequenza dei fatti acquista, in questo modo, sfumature sempre differenti. La banale realtà della prima narrazione (che non va saltata, anche se un po' noiosa, altrimenti non capirete niente!) è necessaria per poter comprendere le altre realtà delle successive. E la verità, ciascuna verità, sarà sempre diversa, eppure vera, come le successive reazioni chimiche di una serie di esperimenti successivi.

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Inoltre, l'ambientazione storica (l'Inghilterra all'indomani della restaurazione della monarchia Stuart, nel 1664) è curata nel dettaglio, e non costituisce solo uno sfondo, ma è parte integrante nella storia. Il che può essere anche un limite: i personaggi sono numerosissimi, e questo, insieme ai riferimenti a vicende che possono non essere sempre esattamente presenti al lettore, possono creare un certo smarrimento. Ma, in ogni caso, non tale da inficiare la comprensione. 

Leggere questo libro è stata un'esperienza affascinante.

Ora, non voglio gridare al capolavoro, alla grande letteratura. Semmai al bel romanzo. Che fa riflettere su quanto, in un'epoca come la nostra che sembra volere cercare a tutti i costi la verità, la realtà oggettiva, le mediazioni siano necessarie e costringano la nostra opinione verso un obbligato binario di pensiero, dal quale solo con uno sforzo riusciamo a distaccarci.

Normalmente siamo abituati e tenere in considerazione maggiore quello che è scritto, piuttosto che quello che ci viene detto a voce. Subiamo, in una qualche misura, una certa venerazione verso la parola scritta, meglio se stampata, ma adesso anche webbata. Certo, per la rete c'è sempre una certa diffidenza, ma tendiamo a considerare quanto scritto in alcuni siti come più fededegno di altri, o addirittura, in certi casi, superiori a quello che troviamo tra i caratteri stampati. Certo, se si legge una cosa sul blog di Ipazia Sognatrice, e si legge l'opposto su Corriere.it, non si hanno dubbi su chi debba essere il depositario della nostra fiducia (lascio volutamente in sospeso questa frase, così magari qualcuno ci casca... ).

In realtà, ogni messaggio, a prescindere dal mezzo, è sempre portatore di una fra le mille verità possibili. O meglio, fra le mille interpretazioni della verità che potremmo trovare. E se questo ci può confortare dell'umanità che tutto permea ed avvolge, ci getta però anche in un imbarazzo ancor più grande: quello di dover scegliere a chi, ed in che misura credere. Ma ci tornerò, spero, su questo.

Intanto, un'ultima cosa sul libro di Pears: il titolo italiano La quarta verità riesce piuttosto piatto, muto, rispetto all'originale An instance for the Fingerpost, che si rifà, nientemeno, agli scritti di Lord Bacon, dove l'stanza cruciale era l'esperimento, l'elemento che finalmente riesce ad indicare allo scienziato quale via seguire, dopo una serie di esperimenti non significativi, esattamente come un cartello stradale (fingerpost, appunto). Forse, un titolo quale L'istanza cruciale, o La quarta istanza avrebbe retto meglio il confronto, pur sempre perdente, con l'originale.

 
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