Fleet Foxes, ovvero tanti tintinnii nel solco di Simon and Garfunkel
Fleet Foxes, ovvero tanti tintinnii nel solco di Simon & Garf unkelgiimon & Garfunkel sono morti, ma hanno fatto un patto col indiavolo. Forse è accaduto davvero, e ora sono di nuovo tra noi, incarnati in giovani corpi, e si fanno chiamare Fleet Foxes. Non sono due, ma cinque; non vengono da New York, ma da Seattle, la città del grunge, così come la loro etichetta, la Sub Pop (storica etichetta dei Nirvana di cui tra l'altro si è da poco festeggiato il ventennale, vedi Repubblica XL in edicola). O, forse, stiamo ascoltando Crosby, Stills, Nash & Young: l'aspetto sgarrupato c'è (camicie a quadri e barba incolta) e anche le melodie perfette e barocche (loro definizione), che nulla hanno a che fare col grunge, a dire il vero. Sono giocate su scale armoniche in crescendo, tintinnii di strumenti e pianoforti colpiti delicatamente per creare un'atmosfera sospesa, fosca, inquietante. Dunque, perfetti per la West Coast. Heard Them Sthrìng, a metà ed, ne è l'esempio perfetto: vagamente morriconiana, è costruita su intrecci vocali e strumentali, con un susseguirsi di «Woo-ho-ho» e «Aaah-ah-ah» e nessuna parola comprensibile. Anche Your Protector sa di West, ma comincia come una melodia rinascimentale che richiama la copertina del disco (il terribile e incantato dipinto Proverbi fiamminghi, di Bruegel). Non mancano i riferimenti al folk rock «da marciapiede» (quello di Harry Nilsson, nella deliziosa BlueRidgeMoun-tains) ma, sopra tutti, ai Beach Boys. Che poi sono il gruppo più amato da Robin Pecknold, cantate e chitarrista dei Fleet Foxes. E se fosse Dennis Wilson a essere tornato fra noi?