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Il Giardino delle Belve

   

Nel 1936, alla vigilia dei giochi olimpici di Berlino, l'America e il mondo intero assistono con preoccupazione all'irresistibile ascesa di Hitler. Paul Schumann, killer d'origine tedesca al soldo di Lucky Luciano, catturato dall'FBI accetta, in cambio dell'immunità e della promessa di una nuova vita, la missione più azzardata della sua carriera: uccidere, durante la cerimonia d'apertura delle Olimpiadi, Reinhard Ernst, l'uomo chiave nella corsa agli armamenti del Terzo Reich.

Inviato a Berlino come cronista sportivo al seguito della squadra olimpica americana, Schumann ha quarantotto ore di tempo per compiere la sua missione. Ad attenderlo non c'è solo una città blindata da eccezionali misure di sicurezza, ma anche l'unico avversario capace di tenergli testa, l'implacabile detective Willy Kohl.

Con questo romanzo tra il thriller storico e la spy-story, il maestro della suspense sorprende il lettore per la nuova ambientazione e i due protagonisti memorabili.Paul appoggiò la pistola sull'unico tavolo della stanza, si tol­se di tasca il fazzoletto e si asciugò il volto. L'ondata di caldo ro­vente che proveniva dal Midwest aveva raggiunto New York. Ma nessuno poteva camminare tranquillamente per strada sen­za indossare una giacca quando, infilata nella cintola, aveva una Colt .45 del 1911, e così Paul era stato costretto a indossare un completo. Era un abito monopetto, a un solo bottone, di lino grigio. La camicia di cotone bianco era madida di sudore.

Altri passi in corridoio dove sicuramente si stavano prepa­rando per lui. Un sussurro, un altro tintinnio.
Paul pensò di guardare fuori dalla finestra ma temette che gli avrebbero sparato in faccia. Voleva una veglia funebre con la bara aperta e non conosceva nessun becchino bravo abba­stanza da riparare i danni causati da una pallottola o da dei pallini da caccia.

Ma chi lo voleva morto? si chiese.
Non era Luciano, naturalmente, l'uomo che lo aveva assol-dato per eliminare Malone. Non era nemmeno Meyer Lansky. Erano uomini pericolosi ma non dei traditori. Paul aveva sem­pre fatto lavori importanti per loro senza lasciare mai il minimo indizio che potesse collegarli a un'eliminazione. Inoltre, se uno dei due avesse voluto togliere di mezzo lui, non avrebbe certo avuto bisogno di organizzargli un lavoro fasullo. Lo avrebbe semplicemente fatto sparire.

Quindi, chi lo aveva incastrato? Che si trattasse di O'Banion o di Rothstein di Williamsburg o di Valenti di Bay Ridge, be', sa­rebbe morto nel giro di pochi minuti.
Se si trattava dell'elegante Tom Dewey, la sua morte non sa­rebbe stata così immediata: sarebbe durata il tempo necessario a farlo incarcerare e a farlo finire sulla sedia elettrica a Sing-Sing.
Altre voci dal corridoio. Altri clic, metallo che scorreva su al­tro metallo.
Tuttavia, osservando la situazione da un certo punto di vista,riflette Paul ironicamente, le cose continuavano ad andare a me­raviglia; dopotutto era ancora vivo.

E dannatamente assetato.

Raggiunse il Kelvinator e lo aprì. Tre bottiglie di latte - due delle quali cagliate - una confezione di formaggio Kraft e una di pesche Sunsweet. Alcune cola Royal Crown. Trovò un apribot­tiglie e tolse la capsula dalla bottiglietta della bibita.


Da qualche parte giungeva il suono di una radio accesa. Sta­va suonando Stormy Weather.
Tornò a sedersi al tavolo e si vide riflesso nello specchio pol­veroso appeso alla parete sopra un lavandino dallo smalto scheggiato. I suoi occhi azzurro chiaro non erano spaventati co­me avrebbero dovuto essere, si disse. Il suo volto però era stan­co. Era un uomo robusto: più di un metro e ottanta per oltre no­vanta chili. I capelli erano come quelli di sua madre, castano ros­sicci; la carnagione chiara, invece, l'aveva ereditata dagli ante­nati tedeschi di suo padre. La pelle era leggermente rovinata: non dal vaiolo ma dai segni di vecchie scazzottate e da quelli più recenti di guantoni EverLast. E anche dal cemento e dal tappe­to del ring.
Paul riflette sulla situazione. Se si fosse trattato di O'Banion o di Rothstein o di Valenti, be', a nessuno di loro importava un accidenti di Malone, un operaio pazzo dei cantieri navali che aveva cominciato a lavorare per la malavita e aveva ucciso la mo­glie di un poliziotto in modo particolarmente sgradevole. Aveva minacciato di riservare lo stesso trattamento a qualsiasi agente gli avesse creato problemi. Ogni boss della zona, da Brooklyn al Jersey, era rimasto scioccato da ciò che aveva fatto. Quindi se uno di loro avesse voluto eliminare Paul, perché non aspettare che facesse fuori Malone?


Questo significava che probabilmente si trattava di Dewey.

L'idea di essere rinchiuso in galera fino all'esecuzione era de­primente. Eppure, se doveva dire la verità, in fondo al cuore Paul non era così distrutto al pensiero di essere arrestato. Come gli capitava da bambino quando impulsivamente si metteva a fa­re a botte con ragazzi due o tre volte più grossi di lui e presto o tardi finiva per prendersela con i tizi sbagliati, ritrovandosi con un osso rotto. Aveva sempre saputo che gli sarebbe capitato lo stesso con la sua attuale carriera, che alla fine un Dewey o un O'Banion lo avrebbero tolto di mezzo.

Ripensò a una delle espressioni preferite di suo padre: "II so­le tramonta comunque, sia sul giorno migliore sia sul giorno peggiore". L'uomo paffuto faceva schioccare le sue bretelle co­lorate e aggiungeva sempre: "Coraggio, domani è un nuovo giorno e inizia una nuova corsa".
Paul trasalì al suono del telefono.
Fissò l'apparecchio di bachelite nera per un lungo istante. Al settimo squillo, o all'ottavo, rispose: "Sì?"
"Paul", disse una voce giovane in tono secco. Non aveva l'ac­cento del quartiere.
"Sai con chi stai parlando."
"Sono in fondo al corridoio, in un altro appartamento. Qui siamo in sei. Ce ne sono altrettanti in strada. "
Dodici? Paul si sentì invadere da una strana calma. Non po­teva fare nulla contro dodici uomini. In un modo o nell'altro lo avrebbero preso. Bevve un altro sorso di Royal Crown. Era ma­ledettamente assetato. Il ventilatore non faceva altro che spo­stare il caldo da una parte all'altra della stanza. Chiese: "Lavori per i ragazzi di Brooklyn o per quelli del West Side? Sono cu­rioso".
"Ascoltami, Paul. Ora ti dirò che cosa farai. Tu hai solo due pistole con te, giusto? La Colt. E quella piccola ventidue. Le al­tre sono nel tuo appartamento, non è così?"
Rise. "Esatto."
"Adesso le scaricherai e lascerai aperto il carrello della Colt. Poi andrai afta finestra che non è sbarrata e le getterai fuori. Quindi ti toglierai la giacca, la lascerai cadere sul pavimento, aprirai la porta e ti fermerai al centro della stanza con le mani al­zate. Ricordati di alzarle bene. "
"E voi mi sparerete", replicò lui.
"Stai comunque vivendo del tempo che non ti spetta, ma se fai quello che ti dico, potresti restare vivo ancora un po'."


 
L'uomo riagganciò.
Paul lasciò cadere il ricevitore sulla forcella. Rimase seduto immobile per un attimo. Ripensò a una notte piacevole di qual­che settimana prima. Lui e Marion erano andati a Coney Island a giocare a minigolf, a mangiare hot dog e a bere birra per rin­frescarsi nel gran caldo. Per scherzo, lei lo aveva trascinato da un'indovina del parco di divertimenti. La finta zingara gli aveva letto le carte e gli aveva detto molte cose. Tuttavia la donna non aveva colto quel particolare evento, che senz'altro avrebbe do­vuto comparire in qualche modo nella lettura se fosse valsa quello che era costata.


Marion... Non le aveva mai detto ciò che faceva per vivere. Solo che era proprietario di una palestra e che di tanto in tanto faceva affari con gente dal passato discutibile. Ma mai niente di più. D'improvviso si rese conto che aveva cominciato a pensare a un futuro di qualche genere assieme a lei. Lavorava come bal­lerina in un locale del West Side, e durante il giorno studiava moda per diventare stilista. In quel momento doveva essere al lavoro; di solito non smetteva prima dell'una o delle due del mattino. Come sarebbe riuscita a scoprire ciò che gli era suc­cesso?

Se si trattava di Dewey, con ogni probabilità avrebbe potuto chiamarla.
Se si trattava dei ragazzi di Williamsburg, niente telefonate. Niente di niente.
Il telefono riprese a squillare.
Paul lo ignorò. Sfilò il caricatore della sua grossa pistola e tol­se il colpo in canna, quindi tolse le cartucce dal revolver. Andò alla finestra e gettò fuori entrambe le pistole. Non le sentì atter­rare.
Mentre finiva la bibita gassata, si liberò dalla giacca, la lasciò cadere sul pavimento. Si incamminò verso la porta, poi esitò. Tornò al Kelvinator e prese un'altra Royal Crown. La bevve. Si asciugò di nuovo il volto, andò ad aprire la porta d'ingresso, fe­ce qualche passo indietro e sollevò le braccia.
Il telefono smise di squillare.


"Questo posto viene chiamato La Stanza", disse l'uomo dai ca­pelli grigi che indossava un'uniforme bianca perfettamente sti­rata, accomodandosi su un piccolo divano.
"Non sei mai stato qui", aggiunse sicuro di sé, con un tono che significava che non c'era spazio per le discussioni. Conti­nuò: "E non ne hai mai nemmeno sentito parlare".

Erano le undici. Avevano portato lì Paul direttamente dalla casa di Malone. Era un palazzo privato nell'Upper East Side, anche se la maggior parte delle stanze del pianoterra erano oc­cupate da scrivanie, telefoni e macchine telescriventi, come se si fosse trattato di una serie di uffici. Soltanto nel salotto c'era­no divani e poltrone. Alle pareti erano appese fotografie di na­vi vecchie e nuove. In un angolo c'era un mappamondo. Un ri­tratto di Franklin Delano Roosevelt fissava Paul da un punto sopra la mensola del caminetto. La stanza era meravigliosa­mente fresca. Una casa privata con tanto di aria condizionata. Incredibile.


Ancora ammanettato, Paul era stato depositato su una como­da poltrona di pelle, I due giovani uomini che lo avevano scor­tato fuori dall'appartamento di Malone, a loro volta vestiti con uniformi bianche, sedevano accanto a lui, leggermente indietro. Quello che gli aveva parlato al telefono si chiamava Andrew Avery, un uomo dalle guance rosee e dagli occhi determinati e attenti. Erano occhi da pugile, anche se Paul sapeva che il gio­vane non era mai stato coinvolto in una scazzottata in vita sua. L'altro era Vincent Manielli, scuro, con una voce che rivelava che probabilmente era venuto su nella stessa parte di Brooklyn in cui era cresciuto anche Paul. Manielli e Avery non sembrava­no molto più grandi dei ragazzini che giocavano a baseball da­vanti a casa sua, e invece erano, incredibilmente, tenenti di va­scello della marina. Quando Schumann era stato in Francia, i tenenti da cui aveva preso ordini erano uomini, adulti.

Le loro pistole erano nelle fondine ma le chiusure di cuoio erano aperte e i due tenevano le mani vicino alle armi.
L'ufficiale anziano, seduto davanti a lui sul divano, era di gra­do piuttosto alto: un capitano di fregata, sempre che il signifi­cato delle mostrine sulla sua uniforme non fosse cambiato negli ultimi vent'anni.
La porta si aprì ed entrò una donna attraente che indossava un'uniforme bianca. La targhetta sulla camicia diceva che si chiamava Ruth Willets. Porse un fascicolo all'ufficiale. "Qui c'è tutto."
"Grazie, sottufficiale."


Mentre la donna se ne saldava senza degnare Paul di uno sguardo, l'ufficiale aprì il fascicolo, estrasse due sottili fogli di carta e li lesse con attenzione. Quando ebbe finito, sollevò lo sguardo. "Sono James Gordon. Ufficio dell'Intelligence della Marina. Tutti mi chiamano Bull."
"Questo è il vostro quartier generale?" domandò Paul. "'La Stanza?" .


 
 Il comandante lo ignorò e lanciò un'occhiata agli altri due. "Voi vi siete già presentati?"
"Signorsì."
"Non ci sono stati problemi?"
"Nessuno, signore. " Era Avery che stava rispondendo.
" Toglietegli le manette. "


Avery obbedì mentre Manielli rimase in piedi con la mano vi­cino alla pistola, osservando con aria tesa le nocche nodose di Paul. Anche Manielli aveva le mani da combattente. Quelle di Avery invece erano rosee come quelle di un commesso di mer­ceria.

La porta venne spalancata di nuovo e fece il suo ingresso un uomo ancora più anziano. Doveva avere più di sessant'anni ma era snello e alto come quel giovane attore che lui e Marion ave­vano visto in un paio di film, Jimmy Stewart. Paul si accigliò. Conosceva quel volto, lo aveva visto sul Times e suH'Herald Tri­bune.

"Senatore?"

L'uomo rispose, ma a Gordon: "Avevi detto che era sveglio. Non sapevo che fosse anche bene informato". Come se non fos­se contento di essere stato riconosciuto. Il senatore squadrò Paul dalla testa ai piedi, si sedette e si accese un grosso sigaro.


Dopo un istante, entrò anche un'altra persona, all'incirca del­la stessa età del senatore, che indossava un completo di lino bianco malamente spiegazzato. Aveva una corporatura massic­cia e morbida. Portava un bastone da passeggio. Lanciò un'oc­chiata a Paul poi, senza rivolgere la parola a nessuno, si ritirò in un angolo della stanza. Anche lui aveva un'aria familiare, ma Paul non riusciva a ricordare chi fosse.
"Ora", continuò Gordon. "Questa è la situazione, Paul. Sappiamo che hai lavorato per Luciano, sappiamo che hai la­vorato per Lansky, e per un paio d'altri. E sappiamo che cosa fai per loro. "
"Già, e cosa?"
"Sei un sicario, Paul", aggiunse Manielli in tono squillante, come se non avesse aspettato altro.
Gordon disse: "Lo scorso marzo Jimmy Coughlin ti ha visto... " Aggrottò le sopracciglia. "Come dite voi? Non 'uccidere'..."


Paul pensò: Alcuni di noi dicono "freddare". Lui preferiva "eliminare". Era il termine che il sergente Alvin York usava per descrivere l'uccisione di soldati nemici durante la guerra. Schumann si sentiva meno delinquente usando un termine utilizzato da un eroe di guerra. Ma, naturalmente, non condivise nessuno di questi pensieri con gli altri.

Gordon proseguì: "Jimmy ti ha visto uccidere Arch Dimici il 13 marzo in un magazzino lungo l'Hudson".
Paul era rimasto fuori dal posto per quattro ore prima che Di­mici si facesse vivo. Era certo che l'uomo fosse da solo. Jimmy doveva essersi addormentato dietro a una cassa per farsi passa­re la sbornia quando Paul era arrivato.


"Ora, da quello che mi dicono, Jimmy non è il testimone più affidabile. Ma abbiamo alcune prove. Alcuni impiegati dell'uf­ficio delle imposte lo hanno arrestato per aver venduto alcool di contrabbando e lui ha fatto un accordo con loro per raccoglie­re informazioni sul tuo conto. A quanto pare aveva trovato un bossolo sulla scena del delitto e lo teneva come polizza di assi­curazione. Sul bossolo non c'erano le tue impronte: sei troppo in gamba per commettere un errore simile. Ma gli uomini di Hoover sono in città. Hanno analizzato la tua Colt. I graffi la­sciati dall'estrattore sono gli stessi."
Hoover? Era coinvolta anche l'FBl? E avevano già esaminato la sua pistola. Lui l'aveva gettata dalla finestra dell'appartamen­to di Malone meno di un'ora prima.


Paul digrignò i denti. Era furioso con se stesso. Era rimasto a cercare quel dannato bossolo per mezz'ora e alla fine si era det­to che doveva essere finito nell'Hudson scivolando attraverso una spaccatura nel pavimento.
"Così abbiamo fatto qualche indagine e abbiamo scoperto che ti avevano pagato cinquecento dollari per..." Gordon esitò.
Eliminare.
"... togliere di mezzo Malone stanotte."
"Neanche per sogno", replicò Paul scoppiando a ridere. "Siete stati informati male. Io sono solo andato a trovarlo. A proposito, che fine ha fatto?"
Gordon fece una pausa. "Il signor Malone non rappresenterà più una minaccia per la polizia o per i cittadini di New York."
"Sembra che qualcuno debba a lei quei cinquecento dollari."
Ma Gordon non rise. "Sei nei guai fino al collo, Paul, e non puoi farla franca. Però noi abbiamo un'offerta da farti. Come di­cono in quelle pubblicità delle Studebaker usate: è un'offerta ir­ripetibile. Prendere o lasciare. Non negoziamo."


II senatore finalmente parlò: "Tom Dewey ti vuole a tutti i co­sti, proprio come vuole il resto dei delinquenti sulla sua lista".
Il procuratore speciale si sentiva investito della missione di­vina di fare piazza pulita del crimine organizzato di New York. Il boss del crimine Lucky Luciano, le Cinque Famiglie italiane della città e il sindacato ebraico di Meyer Lansky erano i suoi bersagli principali. Dewey era spieiato e instancabile e stava vin­cendo, arresto dopo arresto.
"Tuttavia ha accettato di concederci il diritto di prelazione su dite."
"Scordatevelo. Non sono disposto a diventare un informato­re."
"Non è questo che ti stiamo chiedendo. Non è di questo che si tratta."
"E allora che cosa volete che faccia per voi?"
Un attimo di silenzio. Il senatore fece un cenno del capo in dirczione di Gordon che disse: "Tu sei un sicario, Paul. Che co­sa credi? Vogliamo che tu uccida qualcuno".

Non appena entrò nell'appartamento poco illuminato, capì di essere un uomo morto.
Si asciugò le mani madide di sudore, si guardò attorno, la ca­sa era silenziosa come un obitorio e gli unici deboli suoni erano quelli del traffico notturno di Hell's Kitchen e della veneziana sudicia che veniva sospinta verso la finestra dal fiato caldo del ventilatore Monkey Ward.

In quella scena non quadrava niente.

Tutto sbagliato...

Malone avrebbe dovuto essere lì, sbronzo fradicio, a dormire per smaltire la sbornia. Ma non c'era. Non c'era nemmeno l'ombra di una bottiglia, nemmeno l'odore del bourbon, l'unico liquore che beveva quel delinquente. E sembrava che non fosse stato lì da un bel pezzo. La copia del Sun di New York abban­donata sul tavolo era vecchia di due giorni. Accanto al giornale c'erano un portacenere freddo e un bicchiere con un alone blua­stro di latte secco su un lato.
Accese le luci.
Be', comunque c'era una porta laterale, come aveva notato il giorno prima dal corridoio mentre ispezionava il posto. Ma era sbarrata. E la finestra che conduceva alla scala antincendio? Dio, era stata sigillata con ogni cura con della rete metallica che non era riuscito a scorgere dal vicolo. Certo, l'altra finestra era aperta ma era anche a più di dieci metri dal marciapiede.

Nessuna via d'uscita...

E dov'era Malone? si chiese Paul Schumann.
Malone era in fuga, Malone si stava facendo una birra nel Jer­sey, Malone era una statua con un basamento di cemento sotto un molo di Red Hook.

Non aveva importanza.

Qualunque cosa gli fosse accaduta, si rese conto Paul, quel delinquente ubriacone non era stato nient'altro che un'esca, e chi gli aveva detto che lo avrebbe trovato lì quella notte lo ave­va imbrogliato.

Fuori, in corridoio, un rumore furtivo di passi. Un tintinnio metallico.

Tutto sbagliato...
 
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