La Terra Sotto i Suoi Piedi
Nel giorno di San Valentino del 1989, Vina Apsara, cantante dalla voce irresistibile e leggenda vivente del rock, scompare in Messico durante un violento terremoto. Comincia così il nuovo romanzo di Salman Rushdie, che da quell'evento torna indietro qualche decennio per ripercorrere la storia di Vina e di Ormus Cama, lo straordinario musicista con cui Vina ha condiviso l'amore, l'uomo che l'ha più volte perduta e ritrovata nel corso di una folgorante carriera. La loro è la storia di un amore che li insegue per tutta la vita, e oltre la morte. A raccontarcela è Rai Merchant. un fotografo, amico d'infanzia di Ormus e, per qualche tempo, anche amante di Vina. Pieno di storie e di personaggi, il suo racconto attraversa i grandi miti degli ultimi decenni, trasportandoci da Bombay a Londra e a Manhattan, mentre la sua voce si carica di rabbia e di saggezza, d'ironia e d'amore. Moderne divinità, figure esemplari della mitologia contemporanea, Vina e Ormus incarnano le grandi eccitazioni che hanno caratterizzato la nostra epoca, l'esplosione della musica rock, il pop e i sogni della controcultura, sulla scena di un mondo che conosce l'incertezza, dove la terra comincia a tremare. Romanzo d'intensa forza creativa, La terra sotto i suoi piedi è il libro forse più ambizioso di Salman Rushdie, che trova nella musica pop il linguaggio capace di attraversare tutte le culture. E che ci offre una straordinaria rilettura del mito di Orfeo ed Euridice in cui la lingua della poesia si unisce al gergo del rock per rappresentare, nella loro sublime indeterminatezza e molteplicità, le passioni e le inquietudini del nostro tempo.
L'ultimo della sua vita, la i pop Vina Apsara si svegliò tra i sin-» di sacrifici umani in cui era la vittima fa torso nudo somiglianti all'attore Chri-10 afferrata per i polsi e le caviglie. i disteso, nudo e fremente, sopra una ficcava l'immagine scolpita dell'uccello . La bocca aperta del serpente piumato tà scavata nella pietra; e, anche se lei spalancata dalle urla, l'unico rumore .• era il crepitio dei flash dei fotografi; ma > tagliarle la gola, prima che il suo sangue i quella terribile coppa, si svegliò a mez-i messicana di Guadalajara, in un letto che i ano sconosciuto mezzo morto al fianco, vent'anni che fu identificato, negli indedicati dalla stampa alla catastrofe, , il playboy erede di un notissimo palazzi-I quale, tra le altre cose, apparteneva la so-i defl albergo.
» «ultissimo, e nel tanfo delle coperte inzuppi» squallore di quell'incontro notturno. Raùl x aveva le labbra livide, e il suo corpo era »tre secondi, da spasmi che Vina trovò iden-i nel sogno. Dopo qualche istante l'uomo rumori spaventosi dal fondo della tra-o gli stesse tagliando la gola, come se attraverso il sorriso scarlatto di un'invisibile ferita il suo sangue fluisse in un calice fantasma. Presa dal panico, Vina balzò dal letto e afferrò la sua roba, i calzoni di pelle e il bustier trapunto di lustrini dorati con cui era scesa per l'ultima volta, la sera prima, dal palco del centro congressi della città. Sdegnosamente, disperatamente, si era concessa a questo nessuno, a questo ragazzo che aveva meno della metà dei suoi anni; lo aveva incontrato nella solita ressa che dopo lo spettacolo si formava tra le quinte, scegliendolo più o meno a caso tra i cascamorti, gli untuosi spasimanti con i fiori, i magnati dell'industria, gli aristocratici-spazzatura, i narcotrafficanti, i re della tequila, tutti con limousine, champagne, cocaina e forse persino diamanti da regalare alla star della serata.
Il giovane, pavoneggiandosi, si era presentato e aveva cominciato a farle la corte, ma lei non voleva conoscere né il suo nome né l'ammontare del suo conto in banca. Lo aveva colto come un fiore e ora voleva metterselo tra i denti, lo aveva ordinato come il piatto di una rosticceria e ora lo spaventava con la ferocia del suo appetito, perché prese a divorarlo nell'istante in cui si chiuse la portiera della limousine, prima ancora che l'autista avesse il tempo di alzare la parete divisoria che assicurava ai passeggeri la loro intimità. Successivamente lui, lo chauffeur, mostrò grande rispetto per il corpo nudo della star, e mentre i giornalisti lo riempivano di tequila parlò sommesso della sua avida e rapace nudità come di un miracolo: chi avrebbe mai pensato che aveva più di qua-rant'anni? Immagino che qualcuno, lassù, volesse proprio conservarla com'era. Avrei fatto qualunque cosa per una donna simile, gemette lo chauffeur, sarei andato a duecento chilometri l'ora se quello che voleva era la velocità, per lei mi sarei schiantato contro un muro di cemento se il suo desiderio fosse stato di morire.
Solo quando uscì nel corridoio all'undicesimo piano dell'albergo, semivestita e confusa, inciampando nei giornali non ancora ritirati, i cui titoli sui test nucleari francesi nel Pacifico e sui disordini politici nella provincia meridionale del Chiapas le sporcarono le piante dei piedi nudi con il loro inchiostro urlante, solo allora Vina si rese conto che la suite appena abbandonata era la sua: aveva chiuso la porta e non aveva la chiave; e fu una fortuna, per lei, in quel momento di vulnerabilità, che andasse a sbattere proprio contro il sottoscritto: Umid Mer-chant, fotografo, altrimenti detto Rai, il suo - diciamo pure -grande amico dai tempi ormai lontani di Bombay, e l'unico paparazzo nel raggio di mille miglia che non si sarebbe mai sognato di fotografarla in un disordine così scandaloso e gradito, mentre era ancora momentaneamente frastornata e - cosa peggiore - mentre mostrava tutti i suoi anni; l'unico ladro d'immagini che non le avrebbe mai rubato quell'espressione Stanca e braccata, né lo sguardo spaurito di quegli occhi lacrimosi e indiscutibilmente gonfi, né la massa arruffata di capelli Crespi tinti di rosso che le ondeggiava sopra la testa in un ciuffo da picchio, né la bocca, ancora bella, ma tremula e incer-ta, con i piccoli fiordi degli anni spieiati sempre più profondi agli angoli delle labbra. Il vero e proprio archetipo della dea f del rock a metà della strada che portava verso la desolazione e I la rovina. Aveva deciso di cambiare il colore dei capelli per I questa tournée perché a quarantaquattro anni voleva la rivin-Icita, una carriera tutta sua, senza di Lui: per la prima volta in inti anni si era messa in viaggio senza Òrmus; dunque non l'era da meravigliarsi se per la maggior parte del tempo era jnfusa e disorientata. Confusa, disorientata e sola. Bisogna Pficonoscerlo. Vita pubblica o vita privata, la verità è che non [C'è nessuna differenza: quando non era con lui, non contava Icon chi fosse, era sempre sola.
Disorientamento: perdita dell'Oriente. E di Ormus Cama, [ suo sole.
Non che fosse stato un vero colpo di fortuna avere incon-ftrato me. Io per lei c'ero sempre. Sempre in cerca di lei, sem-! in attesa che lei mi chiamasse. Saremmo stati decine, cen-Inaia, migliala, se Vina l'avesse voluto. Ma sono convinto Che c'ero solo io. E l'ultima volta che chiese aiuto non fui in grado di darglielo, e lei morì. Finì a metà della storia della •ìua vita: una canzone incompiuta abbandonata a metà, pri-; Vata del diritto di seguire le strofe della sua vita fino al perfetto componimento finale.
» «ultissimo, e nel tanfo delle coperte inzuppi» squallore di quell'incontro notturno. Raùl x aveva le labbra livide, e il suo corpo era »tre secondi, da spasmi che Vina trovò iden-i nel sogno. Dopo qualche istante l'uomo rumori spaventosi dal fondo della tra-o gli stesse tagliando la gola, come se attraverso il sorriso scarlatto di un'invisibile ferita il suo sangue fluisse in un calice fantasma. Presa dal panico, Vina balzò dal letto e afferrò la sua roba, i calzoni di pelle e il bustier trapunto di lustrini dorati con cui era scesa per l'ultima volta, la sera prima, dal palco del centro congressi della città. Sdegnosamente, disperatamente, si era concessa a questo nessuno, a questo ragazzo che aveva meno della metà dei suoi anni; lo aveva incontrato nella solita ressa che dopo lo spettacolo si formava tra le quinte, scegliendolo più o meno a caso tra i cascamorti, gli untuosi spasimanti con i fiori, i magnati dell'industria, gli aristocratici-spazzatura, i narcotrafficanti, i re della tequila, tutti con limousine, champagne, cocaina e forse persino diamanti da regalare alla star della serata.
Il giovane, pavoneggiandosi, si era presentato e aveva cominciato a farle la corte, ma lei non voleva conoscere né il suo nome né l'ammontare del suo conto in banca. Lo aveva colto come un fiore e ora voleva metterselo tra i denti, lo aveva ordinato come il piatto di una rosticceria e ora lo spaventava con la ferocia del suo appetito, perché prese a divorarlo nell'istante in cui si chiuse la portiera della limousine, prima ancora che l'autista avesse il tempo di alzare la parete divisoria che assicurava ai passeggeri la loro intimità. Successivamente lui, lo chauffeur, mostrò grande rispetto per il corpo nudo della star, e mentre i giornalisti lo riempivano di tequila parlò sommesso della sua avida e rapace nudità come di un miracolo: chi avrebbe mai pensato che aveva più di qua-rant'anni? Immagino che qualcuno, lassù, volesse proprio conservarla com'era. Avrei fatto qualunque cosa per una donna simile, gemette lo chauffeur, sarei andato a duecento chilometri l'ora se quello che voleva era la velocità, per lei mi sarei schiantato contro un muro di cemento se il suo desiderio fosse stato di morire.
Solo quando uscì nel corridoio all'undicesimo piano dell'albergo, semivestita e confusa, inciampando nei giornali non ancora ritirati, i cui titoli sui test nucleari francesi nel Pacifico e sui disordini politici nella provincia meridionale del Chiapas le sporcarono le piante dei piedi nudi con il loro inchiostro urlante, solo allora Vina si rese conto che la suite appena abbandonata era la sua: aveva chiuso la porta e non aveva la chiave; e fu una fortuna, per lei, in quel momento di vulnerabilità, che andasse a sbattere proprio contro il sottoscritto: Umid Mer-chant, fotografo, altrimenti detto Rai, il suo - diciamo pure -grande amico dai tempi ormai lontani di Bombay, e l'unico paparazzo nel raggio di mille miglia che non si sarebbe mai sognato di fotografarla in un disordine così scandaloso e gradito, mentre era ancora momentaneamente frastornata e - cosa peggiore - mentre mostrava tutti i suoi anni; l'unico ladro d'immagini che non le avrebbe mai rubato quell'espressione Stanca e braccata, né lo sguardo spaurito di quegli occhi lacrimosi e indiscutibilmente gonfi, né la massa arruffata di capelli Crespi tinti di rosso che le ondeggiava sopra la testa in un ciuffo da picchio, né la bocca, ancora bella, ma tremula e incer-ta, con i piccoli fiordi degli anni spieiati sempre più profondi agli angoli delle labbra. Il vero e proprio archetipo della dea f del rock a metà della strada che portava verso la desolazione e I la rovina. Aveva deciso di cambiare il colore dei capelli per I questa tournée perché a quarantaquattro anni voleva la rivin-Icita, una carriera tutta sua, senza di Lui: per la prima volta in inti anni si era messa in viaggio senza Òrmus; dunque non l'era da meravigliarsi se per la maggior parte del tempo era jnfusa e disorientata. Confusa, disorientata e sola. Bisogna Pficonoscerlo. Vita pubblica o vita privata, la verità è che non [C'è nessuna differenza: quando non era con lui, non contava Icon chi fosse, era sempre sola.
Disorientamento: perdita dell'Oriente. E di Ormus Cama, [ suo sole.
Non che fosse stato un vero colpo di fortuna avere incon-ftrato me. Io per lei c'ero sempre. Sempre in cerca di lei, sem-! in attesa che lei mi chiamasse. Saremmo stati decine, cen-Inaia, migliala, se Vina l'avesse voluto. Ma sono convinto Che c'ero solo io. E l'ultima volta che chiese aiuto non fui in grado di darglielo, e lei morì. Finì a metà della storia della •ìua vita: una canzone incompiuta abbandonata a metà, pri-; Vata del diritto di seguire le strofe della sua vita fino al perfetto componimento finale.