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Muro di Fuoco

Dopo una serata trascorsa in un locale, due ragazze, di cui una minorenne, aggrediscono un tassista con un martello e lo finiscono a coltellate. Il commissario Wallander non riesce a crederci, incapace di trovare una logica nei gesti dei nuovi assassini, ma è sicuro che quell'omicidio nasconda qualcosa. Altri delitti lo coinvolgono in indagini sempre più complesse: il cadavere di un uomo viene trafugato dall'obitorio e riportato ai piedi del Bancomat dove era stato ritrovato; qualche, giorno dopo, in seguito a un imponente blackout, in una centrale elettrica si scopre il corpo carbonizzato di una ragazza. Diversi tasselli di un unico disegno.   
Per ricomporlo, Wallander deve affrontare una nuova dimensione del crimine. Si assiste anche ad un conflitto con uno dei suoi più stretti collaboratori che, nel tentativo di prenderne il posto, non esita a metterlo in cattiva luce mettendone in dubbio le capacità In questo ottavo romanzo la figlia "ribelle" dell'ispettore Wallander annuncia l'intenzione di voler entrare nel corpo di polizia seguendo così le orme del padre.  

Nella storia vengono presentati molti fatti e non a tutti lo scrittore dà una risposta. Soluzione apparentemente paradossale perché tradizione vuole che al genere poliziesco lo scrittore riservi una spiegazione ai fatti narrati, per quanto strani questi possano sembrare.
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Era uscito sul balcone. Di giorno, riusciva a intravedere il mare ; fra una casa e l'altra. Ma ora era circondato dal buio. Di tanto in tanto, portava sul balcone il suo vecchio binocolo da marina inglese e lo usava per guardare le finestre accese nel palazzo di fronte. Ma ogni volta aveva la sgradevole sensazione che qualcuno lo resse scoperto. Il cielo era stellato. 
È già autunno, pensò. Forse questa notte gelerà. Anche se sarebbe troppo presto qui in Scania.
Un'auto passò in lontananza. Fu colto da un brivido e tornò all'interno. La porta del balcone si chiudeva con difficoltà. Prese il bloc-notes che era sul tavolo della cucina di fianco al telefono e anotò che il giorno dopo avrebbe dovuto controllare la porta.
Passò nel soggiorno. Per un attimo, rimase fermo sulla por­si guardò intorno. Come ogni domenica, aveva rimesso tutto in ordine. Ogni volta che entrava in una stanza perfettamente pulita provava sempre lo stesso senso di soddisfazione. Avvicinò alla scrivania vicino alla parete. Spostò la sedia, accanto la lampada da tavolo e prese il voluminoso giornale di bordo che conservava in un cassetto. Come d'abitudine, iniziò a leggere Iquello che aveva scritto la sera prima.
4 ottobre 1997. Il vento ha soffiato a raffiche tutto il giorno. Secondo il Servizio meteorologico nazionale, soffiava a 8-10 nodi al secondo. Brandelli di nuvole si rincorrevano nel cielo. Alle sei di mattina, la temperatura era di 7 gradi. Alle due aveva rag­giunto gli 8 gradi. Di sera è scesa a  meno 1. Alla fine, aveva aggiunto quattro frasi.
«Oggi, lo spazio è vuoto e abbandonato. Nessun messaggio. C. non risponde alle chiamate. Tutto è calmo».
Alzò il coperchio del calamaio e intinse cautamente il pennino d'acciaio. Aveva ereditato la penna da suo padre e l'aveva custo­dita sin dal giorno in cui, ancora giovane, aveva iniziato a lavorare come assistente nella piccola filiale di una banca a Tomelilla. Quando prendeva appunti sul giornale di bordo, usava solo ed esclusivamente quella penna.

Aveva scritto che il vento aveva cominciato a perdere di inten­sità per poi cessare del tutto. Aveva visto che il termometro fissa­to all'esterno della finestra della cucina segnava tre gradi. Il cielo era sereno. Aveva continuato, annotando di avere impiegato tre ore e venticinque minuti per riordinare l'appartamento. Dieci mi­nuti in meno della domenica precedente.
Inoltre, dopo essere rimasto seduto nella chiesa di Santa Maria a meditare per mezz'ora, aveva fatto una passeggiata fino al porto turistico.
Prima di continuare si fermò a riflettere. Poi, aggiunse una fra­se nel giornale di bordo.«Alla sera, breve passeggiata».
Prese la carta assorbente e asciugò con cura quello che aveva scritto, ripulì il pennino d'acciaio e abbassò il coperchio del cala­maio.
Prima di richiudere il giornale di bordo, volse lo sguardo verso il vecchio orologio da marina davanti a lui sulla scrivania. Le lan­cette segnavano le undici e venti.
Andò in ingresso, mise la sua vecchia giacca di pelle e infilò i piedi in un paio di stivali di gomma. Prima di lasciare l'apparta­mento, controllò di avere messo in tasca le chiavi di casa e il por­tafoglio.
Arrivato in strada, rimase immobile nell'ombra e si guardò in­torno. Come aveva previsto, non c'era nessuno. Poi, si mise a camminare. Come d'abitudine, prese a sinistra, attraversò la stai da che portava a Malmò e si avviò in dirczione dei grandi maga/ zini e dell'edificio di mattoni rossi che ospitava l'Ufficio delle im­poste. Aumentò l'andatura finché non riuscì a trovare il suo ahi tuale e regolare ritmo serale. Di giorno camminava più rapida mente, perché voleva sudare. Le passeggiate della sera erano diverse. Cercava soprattutto di rilassarsi dai pensieri della giornata per prepararsi al sonno della notte e al giorno dopo.
All'altezza dei grandi magazzini per il fai da te, una donna sta­va portando a passeggio il proprio cane. Era un pastore tedesco. Quando usciva alla sera, la incontrava spesso. Un'auto gli passò di fianco ad alta velocità. Intravide un giovane al volante, riuscì a udire la musica nonostante i finestrini chiusi.
Non sanno quello che li aspetta, pensò. Presto, tutti questi gio­vani che vanno in giro nelle loro auto con la musica a tutto volu­me si rovineranno l'udito.
Non sanno quello che li aspetta. Così come non lo sanno le si­gnore sole che portano i loro cani a prendere aria.
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Quel pensiero gli fece provare un senso di euforia. Pensò a tut­to il potere che condivideva. Alla sensazione di essere uno degli eletti. Coloro che avevano il potere di annientare verità fossilizza­te per crearne altre completamente nuove e inaspettate. Si fermò e alzò lo sguardo verso il cielo stellato. In verità, nulla è comprensibile, pensò. La mia stessa vita, così come la luce delle stelle che ha impiegato un'infinità di tempo e spazio per arrivare fino a me. L'unica cosa che può dare un barlu­me di significato al tutto è quello che faccio. La proposta che mi è stata fatta quasi vent'anni fa e che ho accettato senza esitazione. 
Continuò a camminare. Più rapidamente ora, perché i pensieri che prendevano forma nella sua mente lo turbavano. Si rese conto di provare un crescente senso di impazienza. Avevano atteso così a lungo. Ora si stava avvicinando il momento in cui avrebbero calato le loro visiere invisibili e visto la loro enorme ondata travolge­re la terra.
'Ma quel momento non era ancora giunto. Il tempo non era ancora sufficientemente maturo. L'impazienza era una debolezza che non poteva permettersi.
Si fermò. Era già arrivato al centro del quartiere di villette. fon aveva intenzione di andare oltre. Voleva essere di ritorno a a, disteso sul suo letto, poco dopo mezzanotte. 1 Si girò e cominciò a tornare sui suoi passi. Appena oltre l'Ufficio delle imposte, decise di andare al Bancomat di fianco ai grandi magazzini. 
Mise la mano nella tasca dove aveva il portafoglio, voleva ritirare del denaro. Voleva solo controllare l'estratto Sto per assicurarsi che tutto fosse in ordine.  Si fermò alla luce dello sportello e prese la carta blu. La signora il pastore tedesco non c'era più. Udì il rumore di un autotreno carico passare sulla strada da Malmò. Probabilmente si stava dirigendo verso il terminal dei traghetti per la Polonia. A giudica­re dal frastuono, il tubo di scappamento doveva essere rotto.
Digitò il suo codice personale e schiacciò il pulsante dell'estrat­to conto. Riprese la carta e la ripose nel portafoglio. Udì il suono metallico all'interno del distributore. Il pensiero lo fece sorridere.
Se solo la gente sapesse, pensò. Se solo la gente sapesse quello che l'aspetta.
Prese il biglietto bianco con l'estratto conto. Quando mise la mano in tasca per prendere gli occhiali, si rese conto di averli la­sciati nella giacca che aveva indossato per andare al porto. Per un attimo provò un senso di irritazione per averli dimenticati.
Si avvicinò a un lampione, socchiuse gli occhi e controllò l'estratto conto.
Il pagamento automatico effettuato venerdì era stato registrato. Così come la somma in contanti che aveva prelevato il giorno pri­ma. Il saldo era di 9765 corone. Era tutto a posto.
Quello che accadde dopo fu del tutto inaspettato. Fu come se fosse stato colpito dal calcio di un cavallo: un dolo­re immenso. Rovinò in avanti stringendo convulsamente nella mano il bi­glietto bianco con le cifre. Quando la sua testa sbattè contro l'asfalto gelido, ebbe un atti­mo di lucidità.
Il suo ultimo pensiero fu di non riuscire a capire.
Poi, fu avvolto da un buio che sembrava provenire da tutte le parti contemporaneamente. 
Era appena trascorsa la mezzanotte. Era ormai lunedì 6 ottobre 1997. Un altro autotreno passò diretto verso il terminal dei traghetti. Poi, tutto fu avvolto dal silenzio.
Appena salito sulla sua auto a Mariagatan a Ystad, Kurt Wallander provò un'acuta sensazione di disagio. Era poco dopo le ot­to di mattina del 6 ottobre 1997. Lasciando la città alle sue spalle, si chiese perché avesse accettato. Provava una intensa avversione , per i funerali. Eppure stava proprio andando a un funerale. Dato i che era partito con un buon anticipo, decise di non prendere la puperstrada per Malmò, ma di seguire la statale lungo la costa in ezione di Svarte e di Trelleborg.
Alla sua sinistra si intravedeva iI mare. Un traghetto si stava avvicinando al porto. 5i disse che quello sarebbe stato il quarto funerale al quale partecipava in sette anni. Il primo era stato quello del suo collega Nydberg, morto di cancro. Era stata una malattia lunga e straziante. Wallander era andato spesso all'ospedale a trovare Rydberg, che sii stava consumando lentamente. Per Wallander, la sua morte un duro colpo. Era stato Rydberg a farlo diventare un  poliziotto. Gli aveva insegnato a fare le domande giuste. E di  Rydberg, Wallander aveva imparato gradualmente la difficile arte di analizzare la scena di un crimine. 

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